Per gentile concessione dell’autore lo scriviamo subito, e anche subito mettiamo le mani avanti: pure se questa pagina sarà indicizzata dai motori di ricerca e quindi tecnicamente replicata N volte nel mondo internet, NON È liberamente riproducibile. L’indicazione finale “Riproduzione riservata ©” indica proprio che l’autore ha e chiede il diritto di scegliere se il suo lavoro è utilizzabile da altri, a differenza di altre scelte di (auto)gestione del diritto di riproduzione come le Common-Creative. Quindi Serve, anzi È Giusto (nel senso della “giustezza” prima che della giustizia) chiedere il permesso anche per tenere una copia per sè. Dubito che dirà di no, ma chiedere È giusto.
Avvocato Massimo Stefanutti
l’originale e altri articoli alla pagina http://www.massimostefanutti.it/Diritto-Fotografia/index-2.html
Fotografia e web: il diritto che c’è, quello che non c’è e quello che si vorrebbe. Prima parte: Il diritto che c’è: l’art. 70 comma 1 bis L. 633/1941
Come spesso succede, il diritto arriva in ritardo sui fenomeni sociali e solo quando non ne può più fare a meno. Così è successo anche con l’adeguamento del diritto d’autore alle nuove tecnologiche informatiche e alla nascita prima del web.1 ed ora del web.2. Alla fine del passato secolo la crisi del sistema di protezione dei diritti di proprietà individuale fondato sul controllo degli esemplari delle opere profondamente connesso con il principio di indipendenza dei diritti di utilizzazione economica hanno consigliato l’adozione di regole comuni (o quanto meno di un inquadramento generale) poi realizzato con la Direttiva 2001/29 della Comunità Europea. E in Italia, con il recepimento di tale direttiva nel d. lgs. 9.4.2003 n. 68 che ha innovato profondamente la vigente legge sul diritto di autore (l. 633/1941).
Ma, innanzitutto, occorre sottolineare come – questa volta – non siano stati i comportamenti umani ad esigere una modifica normativa bensì una nuova tecnologia, espressa in termini di web, cache, ram, hard disk, download, streaming,drm (digital rights management) system, DOI (digital object identifier system),ecc.
In sintesi, sembra che l’esistenza di un inconscio tecnologico (Vaccari) – all’interno e proprio della singola invenzione tecnica – abbia pesantemente condizionato le nuove norme, con fenomeno quanto meno inedito nella produzione giuridica ma sempre più presente nell’era contemporanea anche in altri settori. Per cui le modifiche alla L.633/1941 hanno comportato la sostituzione del concetto di diritto esclusivo di diffusione da parte dell’autore con quello di comunicazione al pubblico, l’affermazione di un nuovo diritto di mettere l’opera a disposizione del pubblico in modo che ognuno possa avervi accesso dove e come vuole; e il non meno importante principio secondo il quale il diritto di comunicazione non si esaurisce con la messa a disposizione dell’opera al pubblico e permane in capo all’autore il quale ne può controllare ogni diffusione (art. 16); il divieto di riprodurre direttamente o indirettamente, temporaneamente o permanentemente, le opere poste in rete con eccezione di atti privi di rilievo economico o transitori e accessori al procedimento tecnologico (art. 13 e 68 bis) per cui è possibile scaricare un’opera sulla cache per visualizzarla sul desktop del computer – ma non vi è autorizzazione a memorizzarla in download permanente sull’hard disk – e ciò in deroga al principio dell’esaurimento comunitario secondo il quale il diritto esclusivo di controllare la distribuzione di un’opera incorporata in un
1supporto tangibile si esaurisce dopo il primo atto di vendita dell’originale e delle sue copie. Ed ancora il riconoscimento della validità delle misure tecnologiche a protezione dei diritti (art. 102 quater, 71 quinquies,) e , per quanto riguarda la fotografia, l’eccezione al principio del diritto di riproduzione per uso privato in quanto non previsto dall’art. 71 sexies applicabile solo ai fonogrammi e videogrammi, purché senza scopo di lucro e senza fini direttamente o indirettamente commerciali.
Ma la norma principe è dell’art. 70 comma 1 bis, L. 633/1941 che dispone: “””È consentita la libera pubblicazione attraverso la rete internet a titolo gratuito, di immagini e musiche a bassa risoluzione o degradate, per uso didattico o scientifico e solo nel caso in cui tale utilizzo non sia a scopo di lucro. Con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, sentiti il Ministro della pubblica istruzione e il Ministro dell’università e della ricerca, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, sono definiti i limiti all’uso didattico o scientifico di cui al presente comma .””” La norma è volonterosa e voleva accogliere nel nostro ordinamento il principio del c.d. “fair use” vigente negli Stati Uniti o forse il più limitato “fair dealing”, vigente in Gran Bretagna. In buona sostanza, la possibilità per il singolo di utilizzare liberamente l’opera protetta dal diritto d’autore, con fini essenzialmente non commerciali ed in certi ambiti, senza dover ogni volta richiedere l’autorizzazione all’avente diritto. Nobile il fine ma dolente la via per raggiungerlo. Scontato come la norma operi solo all’interno del web – per cui l’immagine messa in rete può esser utilizzata solo in/e attraverso la rete, delegittimando ogni utilizzo esterno (ad esempio scaricare un immagine dalla rete per poi presentarla in una lezione, con fini didattici) – le problematiche applicative ed interpretative sono molte:
a) il termine “pubblicazione” dev’essere inteso come “riproduzione”; b) il termine “immagine” dev’essere inteso in senso ampio come
rappresentazione di un qualsivoglia oggetto e/o soggetto, anche se non eseguito per mezzo della classica fotografia. Basta pensare alla scannerizzazione di un’incisione o di un articolo di giornale. Alla fine avremo sempre un’icona che, al proprio interno, potrà avere diversi contenuti, anche e soprattutto coperti dal diritto d’autore. La fotografia (caso più semplice) di una scultura o di un quadro (magari conservata in qualche museo italiano con buona pace del Decreto Urbani) potrà liberamente esser riprodotta per le finalità indicate dalla norma e senza che ciò leda il diritto di proprietà o d’autore e così anche per beni architettonici soggetti anch’essi alla tutela, sempre che si trovi
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in rete, ovviamente. Resta sempre il problema di fondo che, per poter immettere in rete, occorre riprodurre e la riproduzione primaria dev’essere autorizzata o esser libera. Se l’immagine è già in rete, nulla quaestio ed è questo il caso pensato dal legislatore, con ovvie complicanze se la riproduzione primaria è illegittima. Ma se l’immagine deve essere eseguita (sia con la tradizionale fotografia che con altri mezzi), l’esecutore deve porsi il problema della necessità di consenso dell’avente diritto (d’autore) alla riproduzione.
Per i citati articoli di giornale, la dizione “riproduzione riservata” in calce all’articolo rende il testo assolutamente irriproducibile: l’eventuale immagine in rete, se riprodotta facendo leva sull’articolo in questione, non sana certo l’illecito di origine.
– Ma vi è anche un’altra interpretazione, in antitesi alla precedente in quanto ancor più estensiva: quando la norma afferma la libertà della pubblicazione attraverso la rete internet, presupporrebbe la libertà di riprodurre qualunque contenuto sottoposto al diritto d’autore, prescindendo anche dalla necessità di un’autorizzazione per la riproduzione primaria, prima dell’inserimento in rete.
Per cui il solo fatto di “riprodurre per inserire in rete” sarebbe atto lecito, senza necessità di alcuna preventiva autorizzazione. L’interpretazione sarebbe anche aderente alla ratio legis ma non convince: infatti il momento della riproduzione (sia essa tramite la fotografia che con altri mezzi) è neutro e non qualificato rispetto all’utilizzo successivo dell’immagine (l’immissione in rete) e, davanti ad una qualunque riproduzione di un’opera sottoposta al diritto d’autore e alla contestazione della sua illiceità in quanto senza autorizzazione, chi riproduce potrebbe difendersi affermando la liceità per un uso successivo (ma anche ipotetico). Vista così, il sistema del diritto d’autore avrebbe creato un mostro giuridico che divorerebbe ogni necessità di preventiva autorizzazione: il ché non può essere.
c) è assolutamente incomprensibile cosa siano le immagini e musiche a bassa risoluzione o degradate, visto che, alla data odierna, il decreto di attuazione non è stato ancora emanato. Per la fotografia, bassa risoluzione vorrebbe dire pochi kilobyte o pochi dpi, quando tutte le immagini in rete, proprio per velocità di visualizzazione e trasferimento, sono di tale tipo. Sul punto, è intervenuta una proposta da parte dell’Avv. Guido Scorza ed altri giuristi i quali hanno scritto – in vece del Ministero dei Beni Culturali – un “decreto ministeriale” per chiarire i vari punti (1) e che qui riportiamo, sottolineando anche alcune criticità.
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v Per “immagini” si intendono tutte le opere dell’ingegno che appartengono alle arti figurative di cui all’art. 1 della L. 633/1941 che abbiano carattere creativo e artistico, purché non si tratti di semplice documentazione e non si tratti di semplice fotografia.
A commento: ridurre la possibilità di riprodurre in rete solo opere dell’ingegno a carattere creativo e, per le fotografie, solo le fotografie creative escludendo le c.d. foto semplici e le foto documentarie, sembra in contrasto con la norma originaria che, da una parte non pone alcuna limitazione e, dall’altra parte, ha come finalità la massima condivisione delle immagini in rete;
v “” 1. Ai fini del comma 1 bis dell’art. 70, della medesima legge, si intende per uso didattico qualsiasi forma di utilizzo dell’opera a scopo illustrativo, di critica o discussione, finalizzata ad istruire o formare il pubblico attraverso le reti telematiche.
2. Ai fini del comma 1 bis dell’art. 70, legge 21 aprile 1941, n. 633, si intende per uso scientifico qualsiasi forma di utilizzo dell’opera a scopo illustrativo, di critica o discussione, finalizzata a comunicare al pubblico attraverso le reti telematiche tesi di carattere scientifico o risultati di studi, analisi, ricerche e teorie aventi analogo carattere. Hanno carattere scientifico, ai fini del presente Decreto, studi, ricerche, saggi, compendi, teorie o tesi relative a qualsiasi area del sapere purché condotti o prodotti attraverso modelli cognitivi caratterizzati da rigore metodologico, precisione e sistematicità.
3. Rientrano nella definizione di uso didattico o scientifico le attività funzionali o collaterali alla scienza, all’istruzione e alla formazione, quali, a titolo di esempio, la pubblicazione o redazione di enciclopedie, bibliografie, antologie, cataloghi, raccolte e compendi anche quando non svolte o coordinate direttamente da soggetti operanti nella funzione didattica, formativa o di ricerca.””
A commento: solo da aggiungere anche il c.d. diritto di citazione,
anche parziale, dell’opera.
v “”4. Non concorre a costituire il fine di lucro di cui al comma 1 bis dell’art. 70, legge 21 aprile 1941, n. 633, l’eventuale ricorso da parte del soggetto pubblicante o del fornitore della piattaforma a forme di rimborso degli oneri di manutenzione e pubblicazione, quali, a titolo esemplificativo, l’apposizione di banner o l’iscrizione in circuiti pubblicitari, quando la pubblicazione delle opere protette sia accessoria ai contenuti resi disponibili.””
A commento: purtroppo la proposta, sebbene condivisibile e razionale, esclude tutte quelle forme di insegnamento on line (e- learning) che invece presuppongono un’iscrizione ed un pagamento. Per esempio un corso di storia dell’arte o di architettura o di
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fotografia on line che necessariamente devono essere supportati da immagini di opere d’arte o di architettura o da fotografie, quasi sempre sottoposte ad un diritto di proprietà o d’autore. Giustamente la proposta afferma che il contenuto didattico deve prevalere su quello economico (accessorio rispetto ai contenuti) ma un conto è un corso on line di un’università (o di altro istituto, anche, privato, riconosciuto) che rilascia un titolo di studio valido a livello nazionale, un’altra cosa è il corso di un ente privato (società) con inequivocabilmente fini commerciali, anche se veicolati attraverso un insegnamento.
Per cui sarebbe da riformulare il concetto nel senso intendere come “fine di lucro” – ostativo quindi al libero utilizzo – solo quando ci si trovi davanti ad uno sfruttamento intensivo e diretto dell’immagine e non anche quando questa sia solo un supporto (anche se esemplificativo) ad altra attività, in particolar modo quella di insegnamento.
Per “fine di lucro” (secondo la miglior giurisprudenza e dottrina e coerentemente al fatto che il concetto – nel diritto d’autore – non è diverso da quello inteso in altri ambiti giuridici) deve intendersi ogni vantaggio apprezzabile in via economica (con esclusione di ogni vantaggio morale e/o spirituale, concetto individuato come profitto) e, pertanto, non solo l’incremento patrimoniale diretto ma pure con il risparmio di spesa e di costi.
v “”Art. 3. Formati di pubblicazione. 1. Ai fini del comma 1 bis dell’art. 70 della legge 21 aprile 1941, si intende per immagine in bassa risoluzione: a) Per le opere delle arti figurative di cui al comma 1, art. 1 del presente Decreto: qualsiasi riproduzione non eccedente i 72 punti per pollice (dpi). b) (…) 2. Ai fini del comma 1 bis dell’art. 70 della legge 21 aprile 1941, si intende per immagine degradata ogni opera di cui al comma 1, art. 1 del presente Decreto che, rispetto all’originale, presenti elementi di alterazione significativi, ivi compresa l’apposizione di marchi o scritte, ovvero effetti di alterazione della qualità visiva percepibile o dei colori e di distorsione. “” A commento: se la limitazione ai 72 dpi è condivisibile, trattandosi anche del formato con cui la SIAE autorizza le riproduzioni delle opere d’arte e, del pari, l’apposizione di marchi e scritte (il watermark è anche una protezione ammessa normativamente), non si concorda con l’alterazione e la distorsione dell’immagine. Il concetto di “immagine a bassa risoluzione o degradata” (che sono due
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concetti assolutamente identici a parere dello scrivente) dev’essere inteso in senso tecnico/informatico e cioè di una immagine non solo che possa viaggiare in rete con pochi Kilobyte ma che, soprattutto, non possa esser riprodotta facilmente tramite un download ed utilizzata su altri diversi supporti. E i 72 dpi sembrano assicurare tale risultato.
Inoltre, l’alterazione o la distorsione della fotografia, eseguita da un terzo, potrebbe esser violazione del diritto morale d’autore all’integrità dell’opera, anche se la “bassa risoluzione o degradazione” appare esser una deroga a tale principio, ma non tale da snaturare l’essenza dell’opera.
Non è comunque consentita l’’offesa alla reputazione o all’onere dell’autore: in tale prospettiva una trasformazione di una fotografia a colori in bianco e nero (sempre per il fine della “bassa risoluzione o degradazione”) non sembra ammissibile.
Nella proposta citata manca qualcosa di importante e che dev’essere obbligatorio: la citazione della fonte dalla quale l’immagine è ripresa (il sito web) e l’autore dell’immagine. In tali casi, si dovrebbe affermare l’assoluta illiceità della riproduzione. Ed ancora: è possibile derogare a questa norma e disporre – nelle note legali al sito o sull’immagine medesima – il divieto di riprodurre in rete alle condizioni previste dall’art. 70 comma 1 bis? Propendo per la risposta negativa: la norma vuole affermare un principio generale di condivisione in rete delle immagini (a certe condizioni) e negare
l’applicazione limitazioni al generale nella
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vorrebbe dire – in quanto norma contenuta nelle eccezioni e diritto d’autore – ritornare alla disciplina ordinaria e quale ogni riproduzione dev’essere autorizzata dall’autore.
Attività di supporto alla redazione del Regolamento di attuazione del comma 1 bis dell’art. 70 LDA
http://campaigns.wikia.com/wiki/Attività_di_supporto_alla_redazione_del_Regolamento_di_attuazione_del_comma_1_bis_dell’art._70_LDA
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